Condivido questa interessante riflessione che Mircea Eliade propone a conclusione del suo libro Il sacro e il profano:
“Ogni crisi esistenziale ripropone il tema della realtà del Mondo e della presenza dell’uomo nel Mondo: in definitiva la crisi esistenziale è religiosa, dal momento che anche la più elementare delle religioni è, prima di tutto un’ontologia. L’inconscio, in quanto risultato di innumerevoli esperienze esistenziali, non può non rassomigliare ai diversi universi religiosi.
Dalla stessa attività inconscia l’uomo moderno si vede offrire innumerevoli simboli, ciascuno dei quali è portatore di un messaggio, di una missione specifica, tesi tutti ad assicurare l’equilibrio della psiche o a ristabilirlo. Il simbolo apre al “Mondo” e aiuta l’uomo religioso ad accedere all’universale.
L’uomo in virtù dei simboli, esce da una dimensione particolare per “aprirsi” verso l’universale.

Di fronte a un albero qualunque, simbolo dell’Albero del Mondo e della Vita cosmica, un uomo delle società premoderne è capace di raggiungere la più alta spiritualità: comprendendo il simbolo è in grado di vivere l’universale. L’immagine dell’Albero ricorre ancora frequentemente negli universi immaginari dell’uomo moderno areligioso: è la chiave della sua vita profonda.
L’uomo areligioso delle società moderne è aiutato dall’attività dell’inconscio, che in questo senso adempie a una funzione della religione, la quale, prima di dare all’esistenza la possibilità di creare valori, ne assicura l’integrità”.
La possibilità di reintegrare un’esperienza religiosa della vita giace, quindi, nel profondo di sé stessi.
In tal senso Carl Gustav Jung considerava la psiche come naturalmente religiosa e orientata alla completezza e all’universalità.